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Guardiani della frontiera: l’intermediazione informale nel ghetto agricolo Sud Europeo

Guardians of the frontier: the informal intermediation in the southern European agricultural ghetto

Abstract

Nel Sud Europa agricolo sono ormai realtà consolidata i cosiddetti ghetti, spazi di vita della componente migrante più fragile proveniente dal Sud globale e impiegata come forza lavoro bracciantile. Tali spazi vengono sovente inquadrati come confini della modernità occidentale, buchi neri in cui operano caporali che riproducono quelle che vengono definite come nuove schiavitù. In questo lavoro, partendo da una ricerca-azione svolta nel Sud Italia agricolo (Eboli), si propone di abbandonare una logica del confine e guardare alle modalità attraverso cui il ghetto diventa parte integrante del contesto più ampio, dei suoi modelli sociali, giuridici, economici. Situando l’etnografia sulle modalità attraverso cui l’intermediazione informale naviga queste strutture, il ghetto emerge come una frontiera, intesa non come confine ma come un avamposto che mostra gli effetti più violenti dei campi di forza che agiscono sulla riproduzione della presenza migrante.

Keywords:
frontiera; mediatori; ghetto; migranti agricoli; antropologia del Mediterraneo

Abstract

In agricultural Southern Europe, so-called ghettos are a consolidated phenomenon. In these spaces the most fragile migrants coming from the global South are employed as laborers. These spaces are often framed as the borders of Western modernity, where intermediators operate and reproduce what is defined as new slavery. In this work, drawing from a research-action carried out in agricultural Southern Italy (Eboli), I propose to abandon a logic of the border and look at the ways in which the ghetto becomes part of the larger context, of its social, legal, economic models. By ethnographically focusing on the ways in which informal intermediation navigates these structures, the ghetto emerges as a frontier: not a border but a frontline that shows the most violent effects of the structures that act on the reproduction of migrant presence.

Keywords:
frontier; mediators; ghetto; agricultural migrants; anthropology of the Mediterranean

Introduzione: oltre i confini del ghetto. Una logica di Frontiera

Il Sud Europa, oramai da decenni, oltre a continuare a costituire uno spazio di emigrazione storico si configura altresì come contesto di immigrazione dai contesti del cosiddetto Sud Globale (Triandafyllidou, 2000TRIANDAFYLLIDOU, Anna. The political discourse on immigration in southern Europe: A critical analysis. Journal of Community & Applied Social Psychology, v. 10, n. 5, p. 373-389, 2000.). Una parte importante di questi flussi si concentra non verso le città ma verso spazi agricoli ad alta produttività (Colloca, Corrado, 2013COLLOCA, Carlo; CORRADO, Alessandra (eds.). La globalizzazione delle campagne: Migranti e società rurali nel Sud Italia. Milano: FrancoAngeli, 2013.). Contesti che dalla ristrutturazione del capitalismo agricolo dagli anni ‘80 del ‘900 sono andati connotandosi per una forte presenza di soggetti migranti (Sanò, 2018SANÒ, Giuliana. Fabbriche di plastica. Il lavoro nell’agricoltura industriale. Verona: Ombre Corte, 2018.; Avallone, 2017AVALLONE, Gennaro. Sfruttamento e resistenze: migrazioni e agricoltura in Europa, Italia, Piana del Sele. Verona: Ombre corte, 2017.; Perrotta, 2014PERROTTA, Domenico. Vecchi e nuovi mediatori: storia, geografia ed etnografia del caporalato in agricoltura. Meridiana , n. 79, p. 193-220, 2014.); una presenza cresciuta costantemente nel corso dei decenni e che nell’ultimo periodo a seguito dell’intensificazione dei flussi mediterranei è andata anche oltre le comunità etniche storicizzate (Dines, Rigo, 2015DINES, Nick; RIGO, Enrica. Postcolonial Citizenships and the “Refugeeization” of the Workforce. In: PONZANESI, Sandra; COLPANI, Gianmaria (eds.). Postcolonial transitions in Europe: Contexts, practices and politics. Lanham: Rowman & Littlefield, 2015, p. 151-172.).

Benché siano oramai parte del paesaggio sociale economico e simbolico europeo, le aree agricole di concentrazione delle presenze migranti vengono inquadrate nel discorso pubblico in una relazione di forte alterità rispetto al resto dello spazio sociale (Merrill, 2018MERRILL, Heather. Black spaces: African diaspora in Italy. Londra: Routledge, 2018.). Nello specifico in molte di queste aree sono andate sviluppandosi spazi residenziali riservati quasi esclusivamente a soggetti migranti dove si portano avanti forme di vita che contraddicono il modello di cittadinanza europea e riproducono piuttosto i pattern culturali propri dei contesti d’origine dei soggetti migranti (Corrado, Perrotta, 2012CORRADO, Alessandra; PERROTTA, Domenico. Migranti che contano. Percorsi di mobilità e confinamenti nell’agricoltura del Sud Italia. Mondi migranti, n. 3, p. 103-128, 2012.). Aree contrassegnate da abbandono istituzionale, precarietà socio-economica e alto tasso di informalità; aree che nel discorso pubblico, sul modello degli spazi di segregazione metropolitani, sono state inquadrate come ghetti (Wacquant, 1997WACQUANT, Loïc J. D. Three pernicious premises in the study of the American ghetto. International Journal of Urban and Regional Research, v. 21, n. 2, p. 341-353, 1997., p. 343; Fortuijn, Musterd, Ostendorf, 1998FORTUIJN, Joos Droogleever; MUSTERD, Sako; OSTENDORF, Wim. International migration and ethnic segregation: Impacts on urban areas-introduction. Urban Studies, v. 35, n. 3, p. 367-370, 1998.).

Nel Sud Europa agricolo si sono ormai consolidati quelli che sembrano essere dei veri e propri spazi di confinamento della presenza migrante a fronte della mancanza di confini, e sistemi di controllo della mobilità (Raeymaekers, 2021RAEYMAEKERS, Timothy. Impermanent Territories: The Mediterranean Crisis and the (Re) production of the Black Subject. In: THE BLACK MEDITERRANEAN COLLECTIVE (eds.). The Black Mediterranean: Bodies, Borders, and Citizenship. Cham: Palgrave Macmillan, 2021, p. 117-144.).

Questi spazi sono oggi al centro del dibattito pubblico e dell’interesse istituzionale. In Italia, grande attenzione viene dedicata alle forme di sfruttamento lavorativo che in queste aree proliferano e nello specifico agli attori che innescano questi processi di sfruttamento, i cosiddetti caporali, che interconnettendo forza lavoro e datori traggono vantaggio dallo stato di necessità dei lavoratori1 1 La letteratura sul caporalato che nell’ultimo decennio è fiorita in contesto italiano è vastissima. Per una panoramica a riguardo aggiornata Ippolito, Perrotta, Raeymaekers, 2021. .

L’attenzione sulle forme di grave sfruttamento che i braccianti subiscono nel contesto agricolo, anche grazie al lavoro fondamentale di intellettuali e attivisti impegnati in prima persona2 2 Tra gli altri si può sicuramente annoverare il lavoro di Sagnet, 2012; Leogrande, 2008; Omizzolo, 2019. ha permesso di mettere al centro dell’opinione pubblica la questione e di costruire un apparato giuridico volto a contrastare le forme di grave sfruttamento in agricoltura3 3 In Italia nel 2016 è stata approvata la modifica all’articolo 603bis del codice penale che introduce il reato di intermediazione illecita, punendo sia il mediatore che la parte datoriale (cfr. Gazzetta Ufficiale. LEGGE 29 ottobre 2016, n. 199, GU Serie Generale n.257 del 03-11-2016. Disponibile su: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2016/11/03/257/sg/pdf). .

Tuttavia lo sguardo sulle strutture informali che sostengono le economie dei cosiddetti ghetti agricoli è tendenzialmente contrassegnato da una forte dicotomia tra dentro e fuori. Se il ghetto rappresenta uno spazio in cui vivono soggetti il cui margine d’azione è fortemente limitato tanto da parlare di nuovi schiavi (Bales, 2000BALES, Kevin. I nuovi schiavi: la merce umana nell'economia globale. Milano: Feltrinelli Editore, 2000.) non possiamo certo immaginarlo come chiuso ai meccanismi su cui si basa il paradigma della cittadinanza neoliberale. In questo senso il ghetto si configurerebbe come uno spazio oppositivo rispetto al più ampio contesto sociale in cui si è formato.

Questa configurazione del ghetto si iscrive all’interno di quella che Neilsen e Mezzadra (2013MEZZADRA, Sandro; NEILSON, Brett. Border as Method, or, the Multiplication of Labor. Duke University Press, 2013.), seguendo Mignolo (2000MIGNOLO, Walter. Local Histories/Global Designs. Chichester: Princeton University Press, 2000.) definiscono come un pensiero di confine. E se da un lato questa modalità di intendere il ghetto visibilizza i processi che lo rendono la controparte attraverso cui pensare i processi di riconfigurazione della forza lavoro e dei meccanismi che la riproducono, dall’altro su questa configurazione del ghetto si basa altresì il modello di azione stato-centrico e la retorica volta a risanare, reintegrare, restituire questi spazi alla cittadinanza4 4 Al momento in Italia un’ingente quantità di fondi tanto nazionali che europei è impiegata per il contrasto al fenomeno dell’intermediazione illecita in contesto agricolo. Cfr. Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020 - 2022 (disponibile su: https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/immigrazione/focus-on/Tavolo-caporalato/Documents/Piano-Triennale-post-CU.pdf). .

In questo paper si propone di abbandonare una logica del ghetto come confine di un paradigma altro.

Il ghetto è infatti attraversato da una serie di strutture che lo ordinano, lo determinano, lo riproducono. Queste strutture sono le stesse attraverso cui si riproducono gli spazi agricoli sud europei. A partire dal ghetto è dunque possibile rendere conto delle più ampie strutture sociali, giuridiche ed economiche che permettono la riproduzione dei contesti agricoli in cui questi spazi altri proliferano.

Questo sguardo porta ad andare oltre alla logica del confine, inteso come linea tra dentro e fuori e pensare il ghetto come spazio tanto geografico, quanto relazionale dove le linee di divisione si tracciano e si sfumano (Gaibazzi, Grimaldi, 2021GAIBAZZI, Paolo; GRIMALDI, Giuseppe. La frontiera, introduzione. Frontiera Sud, la rivista, v. 1, p. 1-5, 2021.).

In questo senso il ghetto si propone come frontiera (Raeymaekers, 2021RAEYMAEKERS, Timothy. Impermanent Territories: The Mediterranean Crisis and the (Re) production of the Black Subject. In: THE BLACK MEDITERRANEAN COLLECTIVE (eds.). The Black Mediterranean: Bodies, Borders, and Citizenship. Cham: Palgrave Macmillan, 2021, p. 117-144.): una frontiera che è spazio tanto sociale quanto analitico, un punto di vista privilegiato, un osservatorio per analizzare le dinamiche che lo attraversano (Massa, 2021MASSA, Aurora. Intrecci di frontiera. Percorsi, speranza e incertezze nelle migrazioni tra Eritrea ed Etiopia. Roma: Cisu, 2021.).

In questo articolo partendo da questo inquadramento si propone di posizionare lo sguardo su coloro che operano nel ghetto quali intermediari con il più ampio contesto sociale; i cosiddetti mediatori. Il lavoro si basa su un’analisi di campo svolta nel 2020-2021 all’interno del progetto di ricerca OSARe5 5 Il progetto “OSARE”, osservatorio sullo sfruttamento agricolo e resistenze, finanziato dalla regione Campania e condotto dalle associazioni Frontiera Sud Aps e CSA Ex Canapificio con il supporto dell’Università di Salerno mi ha dato la possibilità di raccogliere i dati utilizzati in questa ricerca. Il lavoro si è configurato come un percorso di ricerca-azione (Elliot, 1991) basato un’attività di attivazione territoriale con i braccianti che abitavano o lavoravano a Campolongo svolta tra il 2020 e il 2021. La raccolta delle interviste si è svolta da aprile ad ottobre 2021. I braccianti coinvolti sono stati perlopiù giovani sotto i 30 anni. La nazionalità prevalente con cui è stata condotta la ricerca, e le cui interviste sono riportate in questo lavoro, è quella marocchina. Per maggiori informazioni sul progetto: cfr. www.osservatorioosare.org nell’area agricola della Piana del Sele e nello specifico nel ghetto di Campolongo.

Obiettivo del lavoro è mostrare la configurazione di questo spazio come una frontiera che non rappresenta un buco nero all’interno di un sistema ordinato ma un fronte attraverso cui comprendere i fenomeni più ampi che attraversano e connotano gli spazi agricoli ad altra produttività sud europei.

L’articolo partendo da un’analisi dell’intermediazione informale e inquadrandola all’interno del contesto di ricerca, presenta il ghetto agricolo come una frontiera da un punto di vista legale, economico e sociale, e il mediatore come un guardiano dell’ordine socio-morale su cui si basa.

L’intermediazione informale e la riproduzione della frontiera

La figura del mediatore in agricoltura, benché sia oggi al centro di azioni pubbliche e istituzionali, ha una storia di lungo corso nei contesti agricoli sud europei, rappresentando uno dei centri d’attenzione dell’analisi dell’antropologia del Mediterraneo (Wolf, 1966WOLF, Eric R. Peasants. Englewood Cliffs New Jersey: Pretice Hall, 1966.; Boissevain, 1979BOISSEVAIN, Jeremy, et al. Towards a social anthropology of the Mediterranean [and Comments and reply]. Current Anthropology, v. 20, n. 1, p. 81-93, 1979.; Gribaudi, 1991GRIBAUDI, Gabriella. Mediatori: antropologia del potere democristiano nel Mezzogiorno. Torino: Rosenberg & Sellier, 1991.). Gli studi sulla figura dell’intermediazione informale mostrano il carattere ambivalente della figura del mediatore, la sua funzione all’interno del sistema economico agricolo e il suo ruolo sostitutivo al progressivo ritiro delle istituzioni e delle strutture politiche dalla terra (Gribaudi, 1991GRIBAUDI, Gabriella. Mediatori: antropologia del potere democristiano nel Mezzogiorno. Torino: Rosenberg & Sellier, 1991.).

Mediando tra forme di umanità mutualmente intese come incommensurabili (lavoratore e padrone - subalterno e istituzione) il loro lavoro è quello di ridurre lo scarto tra le parti in causa traendo profitto dalle relazioni sociali deboli che esistono in questi contesti (Granovetter, 1973GRANOVETTER, Mark S. The strength of weak ties. American journal of sociology, v. 78, n. 6, p. 1360-1380, 1973., 1985GRANOVETTER, Mark. Economic action and social structure: The problem of embeddedness. American journal of sociology , v. 91, n. 3, p. 481-510, 1985.).

In questo senso interesse primo del mediatore è tenere basso l’orizzonte del conflitto, evitando da un lato l’esacerbarsi della relazione e dall’altro che il legame allo stesso tempo diventi troppo stretto, rendendo non più necessaria la sua presenza (Wolf, 1966WOLF, Eric R. Peasants. Englewood Cliffs New Jersey: Pretice Hall, 1966.).

Oggi l’intermediazione informale si configura come una struttura fondante dei contesti agricoli sud europei ad alta produttività (Perrotta, 2014PERROTTA, Domenico. Vecchi e nuovi mediatori: storia, geografia ed etnografia del caporalato in agricoltura. Meridiana , n. 79, p. 193-220, 2014.; Piro, Sanò, 2018PIRO, Valeria; SANÒ, Giuliana. Fiducia, onestà, incertezza: convenzioni e relazioni sociali nel lavoro quotidiano degli intermediari nel mercato ortofrutticolo di Vittoria. Meridiana , n. 93, p. 213-230, 2018.). Questa attinge a strutture storicamente e culturalmente elaborate tipiche dello spazio agricolo sud Europeo e allo stesso tempo ai modelli propri dei contesti d’origine della componente migrante. Si riproduce tuttavia all’interno di quelli che, seguendo Sciurba (2009SCIURBA, Alessandra. Campi di forza. Percorsi confinati di migranti in Europa. Verona: Ombre corte , 2009.), si potrebbero definire come campi di forza: determinanti strutturali che agiscono sulle vite dei soggetti subalterni e regolano da un punto di vista giuridico, economico e politico questi spazi di frontiera6 6 Tali strutture sono state analizzate con grande attenzione nelle analisi sulla produzione di soggettività afro-europee frutto della relazione diseguale tra Europa e Africa: cfr. Grimaldi, 2019; The Black Mediterranean Collective, 2021. .

Nello specifico sono tre i campi principali entro cui si muove l’opera dei mediatori nei contesti agricoli ad alta produttività rispetto alla componente migrante del territorio.

Il primo campo di forza in cui l’intermediazione informale assume un ruolo fondante è ciò che è stato definito come il regime della mobilità globale (Glick Schiller, Salazar, 2013GLICK SCHILLER, Nina; SALAZAR, Noel B. Regimes of mobility across the globe. Journal of ethnic and migration studies, v. 39, n. 2, p. 183-200, 2013.; Riccio, 2019RICCIO, Bruno. Mobilità: incursioni etnografiche. Introduzione. In: RICCIO, Bruno. Mobilità. Incursioni etnografiche. Mondadori, 2019, p. 1-22.4): la struttura diseguale di accesso alla mobilità tra Nord e Sud globale e la sua articolazione in corpus giuridico. Se nel ghetto possono risiedere anche soggetti con status legali fragili o privi di documenti, ciò non vuol dire che il ghetto si ponga oltre le strutture legali; al contrario il sistema diseguale di accesso alla mobilità globale determina le condizioni di esistenza e la salienza di questi spazi. Dal ghetto, come si mira a mostrare in questo lavoro, è infatti possibile costruire modalità per navigare questo sistema escludente, accedervi (riuscendo ad ottenere un riconoscimento giuridico da una precedente condizione di irregolarità) o scalarlo (ottenendo uno status legale più solido rispetto a quello posseduto).

Il secondo campo di forza in cui si muove l’intermediazione informale è forse quello più famoso in questo periodo storico e riguarda l’accesso al lavoro. Il cosiddetto caporalato assume un ruolo fondante nel ghetto agricolo e interconnette la forza lavoro a un sistema, quello del neoliberismo agricolo con la sua richiesta costante di forza lavoro docile, just in time, precaria (Perrotta, 2016PERROTTA, Domenico. Ghetti, broker e imperi del cibo: la filiera agro-industriale del pomodoro nel Sud Italia. Cartografie sociali, Rivista di sociologia e scienze umane, v. 1, n. 1, p. 261-288, 2016.; Sanò, 2018SANÒ, Giuliana. Fabbriche di plastica. Il lavoro nell’agricoltura industriale. Verona: Ombre Corte, 2018.). Non è un caso che le più grandi concentrazioni sia stagionali che fisse di braccianti migranti avvengano nelle “enclave agricole ad alta produttività” (Avallone, 2017AVALLONE, Gennaro. Sfruttamento e resistenze: migrazioni e agricoltura in Europa, Italia, Piana del Sele. Verona: Ombre corte, 2017.), spazi fondati su uno iato tra la ricchezza delle produzioni e la precarietà lavorativa ed esistenziale della forza lavoro.

Il terzo campo di forza in cui operano i mediatori nel ghetto è quello che storicamente connota il sistema sociale del Mediterraneo agricolo, ossia la riproduzione dei centri di potere locali i quali organizzano e danno forma ai territori (Gribaudi, 1990GRIBAUDI, Gabriella. A Eboli. Il mondo meridionale in cent'anni di trasformazione. Venezia: Marsilio, 1990.). Come ha reso chiaro il filone di studi del cosiddetto meridionalismo critico7 7 Va ben oltre gli scopi di questo lavoro ripercorrere le tappe e le figure centrali del meridionalismo critico italiano del primo novecento. Per una lettura critica a riguardo: cfr. tra gli altri Lupo, 1998; De Matteis, 2021. nel primo ‘900, il sud agricolo si fonda su ceto parassitario che dalle classi subalterne trae vantaggi politici ed economici. Questo sistema oggi è tutt’altro che scomparso e, come intendo mostrare, il ghetto agricolo e le modalità attraverso cui questo spazio dialoga con il più ampio contesto locale ne sono una rappresentazione chiara.

Se queste strutture ordinano il presente dei territori agricoli appare chiaro che il ghetto ne sia parte integrante. Piuttosto che costituire una frontiera in quanto limite del paradigma su cui si basano i modelli economici e politici occidentali, si configura piuttosto come una un fronte, un avamposto (Turner, 1920TURNER, Frederick Jackson. The Frontier in American History. (1893). New York: Holt, 1920.) dove queste strutture agiscono con maggiore forza.

Nel prosieguo di questo lavoro si vuole mostrare la salienza di questo processo a partire da un contesto specifico del Sud agricolo europeo. L’area di Campolongo a Eboli, nella Piana del Sele, centro propulsivo della agricoltura europea e area depressa del Mezzogiorno italiano.

Dalla frontiera. Campolongo

La zona della Piana del Sele, area agricola campana di circa 700 km² situata nel sud della provincia di Salerno, costituisce oggi, proprio come ai tempi di “Cristo si è fermato a Eboli” (Levi, 1963LEVI, Carlo. Cristo si è fermato a Eboli. Torino: Einaudi, 1963 [1945]. [1945]), una frontiera tra iper-modernità e mondo contadino subalterno. Sin dai primi anni 2000 rappresenta di gran lunga l’area più economicamente produttiva della Campania, configurandosi come area di riferimento in Europa per la produzione della cosiddetta quarta gamma8 8 Con quarta gamma si intendono i prodotti freschi che, dopo la raccolta, sono sottoposti a processi di lavorazione finalizzati a garantirne la sicurezza igienica e la valorizzazione. La Piana del Sele è una delle massime esportatrici in Europa delle insalatine in busta e nello specifico della rucola. Cfr. Avallone, 2017. . Allo stesso tempo, da oltre trent’anni è un’area attrattiva per la manodopera migrante, con la presenza di comunità storiche dall’Est Europa, dal Nord Africa e dalla penisola indiana, alle quali si sono aggiunti negli ultimi anni i flussi provenienti dall’Africa Sub Sahariana arrivati in Europa lungo la rotta mediterranea (Avallone, 2017AVALLONE, Gennaro. Sfruttamento e resistenze: migrazioni e agricoltura in Europa, Italia, Piana del Sele. Verona: Ombre corte, 2017.; Avallone, Grimaldi, Bartoli, 2021aAVALLONE, Gennaro; GRIMALDI, Giuseppe; BARTOLI, Andrea. Campania: dal sistema di accoglienza allo sfruttamento nei campi. In: IPPOLITO, Ilaria; PERROTTA, Domenico Claudio; RAEYMAEKERS, Timothy (eds.). Braccia rubate dall'agricoltura. Pratiche di sfruttamento del lavoro migrante. Torino: Edizioni SEB27, p. 155-169, 2021a.). Una manodopera contrassegnata da forte precarietà lavorativa, sociale e abitativa, la cui componente più fragile da decenni ha trovato in una frazione agricola del comune di Eboli, Campolongo, il suo spazio di residenza.

Campolongo, il campo lungo, compariva già negli scritti di Rocco Scotellaro (1954SCOTELLARO, Rocco. Contadini del Sud. Bari: Laterza, 1954.) come esempio di una frontiera tra modernità e mondo subalterno9 9 Campolongo era lo spazio degli ultimi tonsi, gli spazi adibiti al pascolo della bufala, dove ancora c’erano modalità di allevamento e forme di asservimento di tipo para feudale. .

Negli anni ’70 nell’area si è realizzato un progetto di turistificazione, con la nascita di interi quartieri adibiti a case vacanze che avrebbero dovuto soddisfare le esigenze della popolazione piccolo e medio borghese del territorio e attirare turismo italiano e internazionale. Tali strutture sono state costruite in un processo di cementificazione selvaggia e spregiudicata e senza alcuna visione strategica10 10 Sul fallimento dei progetti turistici della Piana del Sele cfr. Avallone, Grimaldi, Bartoli, 2021a. che potesse accompagnare il progetto turistico e sganciarlo dalla mera speculazione edilizia. Attorno alle centinaia di villette erette nel giro di pochi anni regnava l’abbandono, la mancanza totale di infrastrutture e l’incuria da parte delle istituzioni11 11 Da decenni ci sono comitati ambientalisti e cittadini che hanno tentato di intervenire sull’abusivismo chiedendo l’abbattimento delle villette (cfr. https://www.repubblica.it/online/fatti/abusivis/abusivis/abusivis.html). . L’ambiente sociale ideale per l’insediamento di una manodopera agricola migrante da utilizzare per il nascente “polo agricolo della quarta gamma” che contraddistingue oggi la Piana del Sele. Sin dai primi anni novanta e con varie accelerazioni nel corso degli anni dovute a rivolgimenti politici di ordine tanto locale quanto nazionale e sovranazionale12 12 Tra i fenomeni che hanno portato ad un aumento delle presenze a Campolongo nel corso degli anni si devono considerare questioni di natura tanto globale come l’aumento degli sbarchi lungo la rotta Mediterranea e l’espulsione di una fetta cospicua di richiedenti asilo dal sistema d’accoglienza (cfr. Avallone, Grimaldi, Bartoli, 2021a; 2021b) quanto locale, come ad esempio gli sgomberi di zone occupate dai braccianti senza un piano di reinsediamento come è successo nel 2008 con lo sgombro dell’area di San Nicola Varco (cfr. www.meltingpot.org Storia minima dello sgombero di San Nicola Varco) Campolongo si è andato così costruendo come il ghetto della Piana del Sele.

In questo spazio si è condotto il progetto di ricerca-azione sullo sfruttamento agricolo, analizzando un vero e proprio mondo sociale che interconnette legale e illegale, formale e informale, per accedere non solo al lavoro ma a tutta una serie di servizi e diritti.

Regime delle mobilità e intermediazione: una frontiera legale

“Campolongo è il cimitero dei migranti”. Questa espressione è stata utilizzata da Abdu, bracciante marocchino di ventitre anni arrivato in Italia nel 2020, ed è una traduzione dell’arabo maqbarat almuhajirin, che i soggetti in transito sulla rotta balcanica (Altin, 2021ALTIN, Roberta. The floating karst flow of migrants as a rite of passage through the Eastern European border. Journal of Modern Italian Studies, v. 26, n. 5, p. 589-607, 2021.) utilizzano per descrivere i campi informali alla frontiera tra Bosnia e Croazia. Campolongo costituisce dunque uno spazio d’attesa, da abitare nel mentre si aspetta uno status legale che permetta di lavorare e finalmente poter vivere lo spazio sociale europeo. Uno spazio però, dove nell’attesa si muore13 13 Sulla dimensione dell’attesa nella dinamica migratoria del ghetto agricolo cfr. Roman et al., 2021. .

Come Abdu centinaia di giovani migranti provenienti perlopiù dal continente africano e dall’area del Sud Est asiatico vivono oggi a Campolongo nell’attesa di un documento o di un escamotage per ottenerlo. Dall’inizio della crisi pandemica, infatti, l’area di Campolongo si è trasformata in una enorme sala d’attesa per i soggetti che hanno fatto domanda di emersione, la cosiddetta sanatoria14 14 L’articolo 103 del cosiddetto “d.l. rilancio” del 19.05.2020 ha previsto l’ “emersione dei rapporti di lavoro” per i soggetti migranti con la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno lavorativo. Dopo oltre un anno e mezzo dalla apertura della sanatoria i risultati sono disastrosi. Per un’analisi: cfr. Altraeconomia. Il fallimento della sanatoria 2020 confermato da dati inediti sul settore domestico. .

Per molti la sanatoria ha costituito un’occasione per ottenere un permesso di soggiorno dopo anni di lavoro irregolare. Ma per molti altri è diventata una ulteriore occasione di sfruttamento. A Campolongo da decenni esiste una rete fatta di co-etnici e di autoctoni che sulle necessità legate allo status legale dei braccianti costruisce il proprio lavoro e la propria rendita. Nell’attività di ricerca sono emersi gli attori di questa rete: intermediari italiani e stranieri, commercialisti, Caf15 15 I centri di assistenza fiscale (CAF) sono organizzazioni ai quali i datori di lavoro e i lavoratori si rivolgono per ottenere assistenza fiscale. , datori di lavoro, avvocati. In un contesto dove lo stato di diritto si è ritirato, questa struttura prospera e intercetta il bisogno di ottenere un permesso di soggiorno, di rinnovarlo, di effettuare un ricongiungimento familiare, di portare in Europa un parente, un amico, un conoscente evitandogli la rotta mediterranea o balcanica. Per fare questo si creano relazioni lavorative fittizie con datori conniventi e talvolta addirittura inconsapevoli, si producono documenti che attestano presenze sul territorio o versamenti di prestazioni lavorative mai erogate. Si inventa praticamente una storia lavorativa del soggetto migrante grazie alla quale ottenere il documento.

Questa rete ha una pregnanza fondamentale sull’attrattività e la stessa esistenza di Campolongo.

Alcuni dei giovani in attesa di sanatoria, ad esempio, hanno conosciuto il ghetto solo al momento della stipula della domanda di sanatoria.

L’esempio di Jadid, ragazzo di origine pakistana, è paradigmatico: Jadid è un 35enne, arrivato a Campolongo cinque giorni prima di presentare una domanda (domanda che attestava la sua presenza lavorativa sul territorio da oltre due anni). Jadid dopo il suo arrivo in Italia si era trasferito al Nord e lì lavorava in nero. E' stato un amico che gli aveva consigliato di spostarsi a Campolongo per fare lì la domanda di sanatoria. Dice Jadid:

I miei amici mi avevano detto che fare domanda al Sud si faceva più veloce. Che la mail dalla prefettura arrivava prima. E invece ancora non mi è arrivato niente. Mentre i miei amici a Padova hanno già ricevuto risposta16 16 Diario di campo, 23.06.2021. .

Questa mobilità dal Nord Verso il Sud Italia legata alla richiesta di sanatoria ha interessato molte delle persone che ho incontrato durante l’attività di ricerca che si sono esposte all’arbitrarietà degli intermediari.

Il legame tra questo stato d’incertezza e sfruttamento è facilmente immaginabile. La sanatoria, infatti lega quasi indissolubilmente il lavoratore al datore (presunto) per un tempo lunghissimo17 17 Ai tempi della ricerca nell’estate 2021 buona parte dei soggetti in sanatoria non aveva ancora ricevuto responso dalla prefettura sullo stato delle loro domande; domande inoltrate nell’agosto 2020. . Per coloro che avevano sottoscritto contratti fittizi, dunque, il lavoro nero nelle aree agricole del territorio si configurava come unica fonte di sostentamento.

Ma il processo relativo alla sanatoria prevede forme di sfruttamento ben più ampie. Questo lo si può intuire già dalla natura delle domande presentate in Piana del Sele: nonostante si trovassero in una delle zone agricole più produttive d’Europa, a buona parte dei soggetti vittime del sistema di sfruttamento connesso al documento è stato proposto il contratto da badante piuttosto che quello agricolo18 18 Queste due tipologie contrattuali (colf e badanti e contratto agricolo) hanno costituito le uniche possibili al fine di inoltrare la richiesta di regolarizzazione. . Questo per una ragione molto semplice: nel caso di colf e badanti la documentazione da produrre era meno gravosa, e soprattutto i datori di lavoro potenziali erano pressoché infiniti. Qualunque privato cittadino poteva, a fronte di un ricavo di poche centinaia di euro, dichiarare di aver regolarizzato un colf o un badante.

In alcuni casi i datori erano intestatari di richiesta di sanatoria molteplici, in altri addirittura inconsapevoli. Con effetti disastrosi sui richiedenti.

È il caso di Amin, marocchino 25enne che ha scoperto che la sua domanda di sanatoria era legata a una anziana donna residente nella piana del Sele e invalida. Suo figlio, per necessità economiche, aveva fornito ai mediatori i documenti della donna e firmato al suo posto. Amin l’ha scoperto quando, una volta arrivata la convocazione in prefettura, il mediatore gli ha detto che l’uomo ha richiesto una somma economica ulteriore per presentarsi in luogo dell’anziana donna19 19 Diario di campo 07.07.2021. .

Uscire da questo sistema era inoltre molto difficile. I mediatori, infatti, non escludevano la questione ma richiedevano ulteriore esborso economico. Durante la ricerca in vari casi ho potuto ascoltare di soggetti in sanatoria che si sono trovati davanti a richieste economiche insostenibili per avere un colloquio con il datore di lavoro, per una lettera di licenziamento, per documenti aggiuntivi. Molti di questi, davanti a queste richieste, hanno preferito continuare l’iter iniziato con i mediatori piuttosto che rischiare ulteriore capitale per una domanda il cui esito si configurava comunque incerto.

La questione sanatoria mostra in maniera inequivocabile l’esistenza di una rete connessa alla possibilità di ottenere un documento. Una rete che opera, tra l’altro su piani molteplici come i ricongiungimenti familiari, i rinnovi dei permessi di soggiorno, la richiesta di sussidi.

L’intermediazione informale a Campolongo rispetto allo status giuridico dei soggetti che lo abitano, connota da questo punto di vista il ghetto come una frontiera legale, un avamposto dove l’attuale regime delle migrazioni non solo si riproduce ma, nelle pratiche di sovversione attivate attraverso i mediatori, produce i suoi effetti più violenti ed escludenti sulle vite dei migranti.

Neoliberismo agricolo e intermediazione: una frontiera economica

Ho lavorato in quell’azienda per 8 anni. Ho sempre portato persone. A volte fino a 90. Quattro anni fa ho smesso. Voleva pagare 4 euro all’ora. Per me era un prezzo impossibile. E quindi ho smesso di lavorare con lui. Non so come abbia continuato20 20 Diario di campo, 18.07.2021. .

Questo breve estratto viene dall’intervista con Mohamed, un uomo sulla 50ina proveniente dal Marocco, in Italia dai primi anni 2000 che per oltre 10 anni ha fatto il caporale. Mohamed mi parlava del suo lavoro presso un’azienda di trasformazione agricola della Piana e della fatica che faceva a tenere i ritmi di lavoro che gli venivano richiesti. Durante i picchi produttivi della stagione agricola, infatti, doveva dare fondo a tutta la sua rete di conoscenze per soddisfare le richieste dei datori di lavoro con cui prendeva impegni per garantirgli la manodopera necessaria.

Mohamed traeva buona parte del suo bacino di manodopera tra i suoi connazionali ma in realtà a seconda del tipo o della quantità di lavoro poteva facilmente garantire squadre (si chiamano così i gruppi di lavoratori che si occupano di una determinata mansione) di donne e di uomini provenienti tanto dal Nord Africa quanto dall’Est Europa fino all’Africa Subsahariana.

Mi raccontava delle squadre che formava partendo a notte fonda e di come continuasse a raccogliere persone fino a giorno inoltrato. Una volta completato il suo lavoro di organizzazione lavorava anche lui con i braccianti controllando che il lavoro venisse eseguito nel miglior modo possibile.

I ritmi di lavoro erano insostenibili. Mohamed dormiva in media 3 ore a notte e a causa del forte stress aveva sviluppato una emicrania che lo aveva reso dipendente dagli anti infiammatori. A suo dire, quindi, seppur non gli mancassero i guadagni ha deciso di smettere. Anche perché, a quanto diceva, doveva costantemente contrattare con le aziende per tenere il costo orario della manodopera a livelli accettabili. Questo in primis per garantirsi un margine di guadagno sul salario quotidiano dei suoi lavoratori, ma soprattutto per salvaguardare la sua professionalità e il suo onore (Gribaudi, 1991GRIBAUDI, Gabriella. Mediatori: antropologia del potere democristiano nel Mezzogiorno. Torino: Rosenberg & Sellier, 1991.).

L’esperienza di Mohamed spinge a ragionare su una serie di questioni relative al fenomeno del caporalato provando ad inserirlo all’interno di un sistema più complesso, quello su cui si regge il sistema socio-economico della Piana del Sele.

In primis è possibile notare che il mediatore entra in uno spazio che a dispetto della sua enorme produttività economica manca di corpi intermedi: Mohamed non solo giocava un ruolo sostitutivo dell’agenzia del lavoro, ma anche del sindacato. Il progressivo ritiro delle strutture istituzionali dalle questioni relative alla terra ha portato a un vero e proprio vuoto sociale in cui figure come la sua assumono un ruolo essenziale nei processi di riproduzione del contesto agricolo e del territorio (Molinero, Avallone, 2018AVALLONE, Gennaro; NIANG, Daouda. La linea del colore. Agricoltura campana e lavoro migrante. In: BRUNO, Giovanni carlo (a cura di). Lavoratori stranieri in agricoltura in Campania. Una ricerca sui fenomeni discriminatori. Roma: Crn edizioni, 2018, p. 59-76.).

In un’area vasta decine di chilometri quadrati con un sistema di trasporti assolutamente inadeguato e il disinteresse pressoché totale delle aziende agricole a fornire mezzi di trasporto per garantire ai braccianti l’arrivo sul luogo di lavoro, la rilevanza nel saper organizzare squadre e garantire loro una presenza sul posto di lavoro è pressoché autoevidente. A Campolongo, come dice Mohamed, chiunque abbia la patente e un furgone (ma anche una station wagon) è potenzialmente un caporale21 21 Diario di campo, 03.08.2021. . L’alternativa è la bicicletta ma le lunghe distanze, le strade dissestate, la scarsa illuminazione costituiscono un deterrente enorme per molti.

Affidarsi a un caporale è spesso l’alternativa più conveniente, oltre che necessaria. E infatti da parte dei braccianti per i caporali c’è un sentimento ambivalente. Se da un lato riconoscono lo sfruttamento dall’altro si possono creare veri e propri rapporti di amicizia, di rispetto e di aiuto tra lavoratore e caporale22 22 Sulla retorica ambivalente rispetto ai caporali tra i braccianti nella Piana del Sele cfr. Botte, 2009. .

L’immagine disumanizzante della relazione tra caporale e bracciante che si è affermata nel discorso pubblico coglie quindi solo una parte della realtà dei fatti: anche i braccianti più sfruttati avevano possibilità di scegliere se lavorare o meno e raramente il loro orario di lavoro in aperta campagna superava le 8 ore. Ho assistito a questo fenomeno questa estate con i braccianti in attesa di sanatoria. Molti di loro, pur non avendo un documento che gli permettesse di essere assunti (e quindi ritrovandosi a lavorare unicamente nelle sacche marginali del lavoro nero) sceglievano di evitare i lavori più pesanti e piuttosto non si presentavano a lavoro. Come diceva Hamza, marocchino 24 enne arrivato in Italia nel 2021: “io sono venuto in Italia per vivere meglio, non per fare lo schiavo a 30 euro al giorno”23 23 Diario di campo. 27.08.2021. . Questa presa di posizione, alquanto comune soprattutto tra i più giovani, non aveva alcuna ripercussione nel rapporto con i caporali che, invece, continuavano ad offrire loro lavori.

Se la relazione tra caporali e braccianti ha dunque spesso forma dialettica, l’agency dei braccianti paradossalmente risulta essere molto più schiacciata se raffrontata alle strutture giuridiche ed economiche che determinano la loro presenza sul territorio.

Il sistema lavorativo della Piana del Sele, come mostrano Avallone e Niang (2018AVALLONE, Gennaro; NIANG, Daouda. La linea del colore. Agricoltura campana e lavoro migrante. In: BRUNO, Giovanni carlo (a cura di). Lavoratori stranieri in agricoltura in Campania. Una ricerca sui fenomeni discriminatori. Roma: Crn edizioni, 2018, p. 59-76.), si basa solo in minima parte sul lavoro nero. Ciò che predomina è invece il cosiddetto lavoro grigio in cui viene effettivamente corrisposta solo una parte della paga oraria spettante al bracciante.

Il lavoro grigio è spiegato in maniera efficace nel seguente paragrafo del rapporto agromafie 2020 sulla Piana del Sele:

Ad esempio, il bracciante lavora 30 giorni consecutivi con una paga giornaliera concordata di 30,0 euro, il datore ne conteggia 19 per arrivare ad una somma di 900,0 euro (52 euro è la retribuzione giornaliera prevista dal contratto provinciale moltiplicata per n. 19 giorni = 988,0 Euro - Irpef) che costituirà la busta paga formale, cosicché il salario concordato è completamente retribuito, senza conteggiare il numero di ore effettivamente lavorate, straordinario e festivo. Questo sistema è diffuso in gran parte della Piana del Sele, costituendone in pratica il modus operandi della maggior parte del ceto imprenditoriale di questa eccellente area agricola della provincia di Salerno prescindendo dalle dimensioni aziendali. (AA.VV., 2021AA.VV. Quinto Rapporto Agromafie e Caporalato, a cura di Osservatorio Placido Rizzotto. Roma: Ediesse, 2020., p. 311)

Questo sistema di estrazione della forza lavoro agricola è talmente diffuso da essere incorporato da parte dei braccianti. Nelle narrative dei lavoratori con cui ho effettuato la ricerca si andava in un range di pagamenti tra i 25 e i 35 euro giornalieri in base ad anzianità (le persone residenti da più tempo in genere guadagnano di più dei nuovi arrivati) ma anche in base a genere (le donne guadagnano quasi sempre meno degli uomini) e nazionalità (le persone dell’Africa Subsahariana guadagnano meno di Nord Africani e Est Europei). La questione principale era però connessa alla necessità di dover accettare quelle condizioni lavorative. Se i giovani in attesa di sanatoria o gli irregolari possono decidere se lavorare o meno, per coloro che hanno una forma di protezione da convertire o un permesso di soggiorno da rinnovare la questione è più complessa. La necessità di dover avere un contratto di lavoro si pone come condizione essenziale per garantirsi la presenza sul territorio e non ritornare nel limbo dei senza documenti. Ciò porta ad accettare situazioni lavorative svantaggiose e paradossalmente ad essere più ricattabili dagli stessi caporali.

Il cosiddetto caporalato si muove dunque all’interno di un fronte economico che determina la redditività e le stesse condizioni di esistenza del polo agricolo della Piana del Sele. Il ghetto, da cui i caporali attingono forza lavoro e legittimazione sociale, rappresenta così una frontiera economica che mostra funzionamento e allo stesso tempo gli effetti dei processi di riproduzione del neoliberismo agricolo nello spazio sud europeo.

Ordine locale e intermediazione. Una frontiera sociale

Un punto di osservazione per comprendere il valore di Campolongo come frontiera sociale è sicuramente la questione relativa alla casa.

Campolongo è un borgo turistico figlio della speculazione edilizia del Mezzogiorno italiano e diventato nel corso dei decenni un approdo per soggetti subalterni.

Le case di Campolongo sono in media dei conglomerati di tre/quattro piccoli edifici (mono, bi e anche trilocali) con un cortile comune e chiuse da un cancello.

Buona parte degli abitanti del ghetto sono uomini single sia giovani che adulti con le famiglie nei contesti d’origine che condividono posti letto. Ma non mancano intere famiglie (sia autoctone che migranti) che hanno deciso o si sono ritrovati a fare casa a Campolongo. Infine ci sono pochi che ancora utilizzano le case come spazi di vacanza.

Le interazioni tra le diverse anime di Campolongo non sono particolarmente sviluppate e il criterio di vicinato è nella maggior parte dei casi di tipo etno-nazionale. Le strade di accesso a Campolongo (che sono decine) creano veri e propri quartieri all’interno del villaggio, spesso connotati etnicamente. Ci sono zone a prevalenza marocchina, zone a prevalenza maliana, zone a prevalenza est europea, zone dove si concentrano le persone provenienti dal subcontinente indiano.

Questa divisione degli spazi se da un lato è conseguenza delle catene migratorie (si accede alle case tramite rapporti di conoscenza con chi le abita e i rapporti di conoscenza a Campolongo sono etnicamente connotati), dall’altro lato, però, è anche organizzata.

Persone in rapporti fiduciari con i padroni di casa delle villette di Campolongo organizzano gli affitti nelle case in modo da garantire al padrone di casa degli ingressi mensili e l’ordine all’interno della casa. La maggior parte delle volte è lo stesso occupante più anziano che gestisce queste relazioni, altre volte ci si affida a piccoli intermediari.

Il mercato delle case tuttavia non è certamente redditizio per le intermediazioni: un affitto medio di un posto letto in casa va tra gli ottanta e i cento euro mensili in base alla zona e alla centralità della casa rispetto ai servizi posti sul litorale (fermata degli autobus e alimentari). Quello che invece genera grandi profitti ai mediatori è proprio ciò che connota Campolongo non come ghetto, come cono d’ombra della Piana del Sele, ma come fronte, come spazio generativo di significati che interessano l’intero territorio: e riguarda proprio la discrasia tra la pratica dell’abitare il ghetto e le rappresentazioni formali dell’abitare necessarie a garantirsi una permanenza sul territorio.

Parte delle case costruite a Campolongo sono abusive. E buona parte dei proprietari, inoltre, preferisce affittare comunque in nero. Ciò comporta nella quasi totalità dei casi la mancanza di qualunque titolo che attesti la presenza dei migranti sul territorio di Campolongo.

Un titolo che si pone però come necessario per accedere al rinnovo dei documenti, alla formalizzazione di rapporti di lavoro, all’accesso a sussidi pubblici.

Anche la casa, dunque, rientra nel circuito della rete dei documenti, e apre a un mercato molto redditizio di residenze e idoneità alloggiative fittizie.

Durante la ricerca ho avuto modo di rendere conto del fatto che documentazione relativa alla casa, ad esempio, risulta di vitale importanza per i soggetti in attesa di sanatoria come colf o badanti. È necessario dimostrare un’idoneità alloggiativa, ossia un certificato di conformità dell'unità abitativa a determinati parametri di legge.

Questo certificato è impossibile da ottenere nelle case di Campolongo, che non hanno standard abitativi adeguati. E dunque si compra. Il costo medio di questa documentazione è di circa cinquecento euro e vi ricorreva la stragrande maggioranza dei braccianti di Campolongo.

Questo fenomeno della compravendita di un contratto d’affitto fittizio coinvolge una porzione della popolazione di Campolongo ancora più ampia per quanto riguarda il certificato di residenza; un certificato necessario al rinnovo del permesso di soggiorno o alla richiesta di bonus e sussidi.

Nella casa che ho frequentato di più durante la ricerca c’erano cinque persone di origine marocchine. L’unico che non aveva comprato la residenza era un soggetto privo di documenti. Tutti gli altri (c’era una persona in attesa di sanatoria, una con un permesso di soggiorno annuale e due lungo soggiornanti) avevano pagato qualcuno per avere un documento di residenza fittizio.

Le forme dell’abitare a Campolongo in questo senso attivano uno spazio sociale che trascende il ghetto e che produce significati in tutta l’area della Piana del Sele. Questo spazio, nato dalle speculazioni economiche e dalle strutture politiche che hanno garantito la riproduzione dei rapporti di potere su cui si basa il territorio, continua ad essere generativo di significati per centinaia e centinaia di privati cittadini (italiani e stranieri) della Piana del Sele che dallo stato di necessità della componente più vulnerabile del territorio traggono profitto e creano (o rinforzano) rapporti clientelari. In questo senso Campolongo assume la forma della frontiera sociale: una frontiera che lungi dal costituire il buco nero di un modello di cittadinanza si pone come avamposto entro il quale riprodurre l’ordine locale su cui quel modello si basa.

Conclusioni

Alla luce di quanto emerso appare chiaro che la proliferazione di spazi come Campolongo nel Sud agricolo europeo trasgrediscono il paradigma della cittadinanza europea solo a livello retorico (Raeymaekers, 2021RAEYMAEKERS, Timothy. Impermanent Territories: The Mediterranean Crisis and the (Re) production of the Black Subject. In: THE BLACK MEDITERRANEAN COLLECTIVE (eds.). The Black Mediterranean: Bodies, Borders, and Citizenship. Cham: Palgrave Macmillan, 2021, p. 117-144.). Il ghetto agricolo rappresenta l’avamposto piuttosto che la nemesi delle configurazioni giuridiche, economiche e sociali che orientano il presente dello spazio agricolo sud-europeo.

Campolongo, nonostante venga inquadrato nel discorso pubblico locale come un buco nero di un’enclave agricola ad alta produttività, rappresenta una frontiera da un punto di vista giuridico, economico e sociale. Lungi dal porsi fuori dalla legge, a Campolongo le strutture su cui si basano i regimi della mobilità globale (Glick Schiller, Salazar, 2013GLICK SCHILLER, Nina; SALAZAR, Noel B. Regimes of mobility across the globe. Journal of ethnic and migration studies, v. 39, n. 2, p. 183-200, 2013.) si intensificano, mostrano tutta la loro violenza e schiacciano le quotidianità di chi lo abita. Allo stesso tempo la sua economia di sfruttamento è non alternativa ma consustanziale alla riproduzione del modello agricolo neoliberista (Avallone, Niang, 2018AVALLONE, Gennaro; NIANG, Daouda. La linea del colore. Agricoltura campana e lavoro migrante. In: BRUNO, Giovanni carlo (a cura di). Lavoratori stranieri in agricoltura in Campania. Una ricerca sui fenomeni discriminatori. Roma: Crn edizioni, 2018, p. 59-76.). L’organizzazione stessa dello spazio sociale del ghetto, piuttosto che configurarsi come alternativa al più ampio contesto locale, ne alimenta i circuiti di potere (De Matteis, 2021DE MATTEIS, Stefano. Il dilemma dell’aragosta. La forza della vulnerabilità. Milano: Meltemi, 2021.).

In questo spazio diventa centrale la figura del mediatore (Gribaudi, 1991GRIBAUDI, Gabriella. Mediatori: antropologia del potere democristiano nel Mezzogiorno. Torino: Rosenberg & Sellier, 1991.): una figura che, lungi dal costituire il deus ex machina dello sfruttamento, si configura come colui che rende navigabili queste strutture escludenti da parte di chi abita il ghetto. Il mediatore si configura in questo senso come un vero e proprio guardiano della frontiera e opera per il mantenimento dell’esistente, delle strutture che alimentano lo spazio di frontiera, piuttosto che oltre queste (Wolf, 1966WOLF, Eric R. Peasants. Englewood Cliffs New Jersey: Pretice Hall, 1966.). Il mediatore naviga le strutture di potere e gli equilibri su cui si fondano i territori, le esigenze del capitalismo agricolo, il portato escludente su cui si fonda il regime delle migrazioni globali e ne trae profitto.

Partendo dall’analisi dell’intermediazione informale questo lavoro vuole mostrare quanto sia fondamentale tenere conto dei processi strutturali che agiscono sulla produzione del ghetto agricolo contemporaneo andando oltre il frame istituzionale auto-assolutorio e sovente etnicizzante del contrasto al caporalato.

Questa prospettiva apre altresì a ulteriori linee di ricerca. Il mediatore difatti rende traducibile questo sistema escludente nelle prassi quotidiane che alimentano la vita dei lavoratori agricoli.

È proprio attraverso la possibilità di navigare i campi di forza che agiscono sul ghetto (e su cui si basa l’esistenza degli spazi agricoli sud europei) che i soggetti subalterni che abitano questi spazi riescono a trovare un senso alle loro esistenze: attraverso i mediatori riescono ad avere un lavoro quasi tutti i giorni, a mandare rimesse nel contesto d’origine, a costruire case, a fare famiglia, crescere dei figli, dar loro un’educazione, far arrivare in Italia familiari, avere sussidi sociali per sé e per la famiglia.

Senza i mediatori, le attuali strutture giuridiche, economiche, politiche e sociali che tengono in piedi il ghetto risulterebbero paradossalmente insostenibili per i soggetti che lo abitano. In questo senso l’informale, il sotterfugio, l’illegale dei processi di intermediazione si configurano come pratiche che rendono possibili forme di appaesamento (De Martino, 1955DE MARTINO, Ernesto. Sud e magia. Roma: Donzelli Editore, 1955.).

L’analisi del ghetto agricolo come frontiera a questo riguardo rende urgente analizzare le forme attraverso cui i processi di intermediazione informale si configurano come veicoli di integrazione oltre il paradigma egemonico della cittadinanza neoliberale.

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  • WOLF, Eric R. Peasants Englewood Cliffs New Jersey: Pretice Hall, 1966.
  • 1
    La letteratura sul caporalato che nell’ultimo decennio è fiorita in contesto italiano è vastissima. Per una panoramica a riguardo aggiornata Ippolito, Perrotta, Raeymaekers, 2021IPPOLITO, Ilaria; PERROTTA, Domenico Claudio; RAEYMAEKERS, Timothy (eds.). Braccia rubate dall'agricoltura. Pratiche di sfruttamento del lavoro migrante . Torino: Edizioni SEB27 , 2021..
  • 2
    Tra gli altri si può sicuramente annoverare il lavoro di Sagnet, 2012SAGNET, Yvan. Ama il tuo sogno. Roma: Fandango, 2012.; Leogrande, 2008LEOGRANDE, Alessandro. Uomini e caporali: viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud. Milano: Feltrinelli Editore , 2016.; Omizzolo, 2019OMIZZOLO, Marco. Sotto padrone: uomini, donne e caporali nell'agromafia italiana. Milano: Feltrinelli, 2019..
  • 3
    In Italia nel 2016 è stata approvata la modifica all’articolo 603bis del codice penale che introduce il reato di intermediazione illecita, punendo sia il mediatore che la parte datoriale (cfr. Gazzetta Ufficiale. LEGGE 29 ottobre 2016, n. 199, GU Serie Generale n.257 del 03-11-2016. Disponibile su: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2016/11/03/257/sg/pdf).
  • 4
    Al momento in Italia un’ingente quantità di fondi tanto nazionali che europei è impiegata per il contrasto al fenomeno dell’intermediazione illecita in contesto agricolo. Cfr. Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020 - 2022 (disponibile su: https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/immigrazione/focus-on/Tavolo-caporalato/Documents/Piano-Triennale-post-CU.pdf).
  • 5
    Il progetto “OSARE”, osservatorio sullo sfruttamento agricolo e resistenze, finanziato dalla regione Campania e condotto dalle associazioni Frontiera Sud Aps e CSA Ex Canapificio con il supporto dell’Università di Salerno mi ha dato la possibilità di raccogliere i dati utilizzati in questa ricerca. Il lavoro si è configurato come un percorso di ricerca-azione (Elliot, 1991ELLIOT, John. Action research for educational change. New York: McGraw-Hill Education, 1991.) basato un’attività di attivazione territoriale con i braccianti che abitavano o lavoravano a Campolongo svolta tra il 2020 e il 2021. La raccolta delle interviste si è svolta da aprile ad ottobre 2021. I braccianti coinvolti sono stati perlopiù giovani sotto i 30 anni. La nazionalità prevalente con cui è stata condotta la ricerca, e le cui interviste sono riportate in questo lavoro, è quella marocchina. Per maggiori informazioni sul progetto: cfr. www.osservatorioosare.org
  • 6
    Tali strutture sono state analizzate con grande attenzione nelle analisi sulla produzione di soggettività afro-europee frutto della relazione diseguale tra Europa e Africa: cfr. Grimaldi, 2019GRIMALDI, Giuseppe. The Black Mediterranean and the reconfiguration of Afroeuropeanness. In: RASTAS, Anna; NIKUNEN, Kaarina. Contemporary African and Black Diasporic Spaces in Europe, Open Cultural studies, v. 3, p. 414-427, 2019.; The Black Mediterranean Collective, 2021THE BLACK MEDITERRANEAN COLLECTIVE (eds.). The Black Mediterranean: Bodies, Borders, and Citizenship . Cham: Palgrave Macmillan , 2021..
  • 7
    Va ben oltre gli scopi di questo lavoro ripercorrere le tappe e le figure centrali del meridionalismo critico italiano del primo novecento. Per una lettura critica a riguardo: cfr. tra gli altri Lupo, 1998LUPO, Salvatore. Storia del Mezzogiorno, questione meridionale, meridionalismo. Meridiana , n. 32, p. 17-52, 1998.; De Matteis, 2021DE MATTEIS, Stefano. Il dilemma dell’aragosta. La forza della vulnerabilità. Milano: Meltemi, 2021..
  • 8
    Con quarta gamma si intendono i prodotti freschi che, dopo la raccolta, sono sottoposti a processi di lavorazione finalizzati a garantirne la sicurezza igienica e la valorizzazione. La Piana del Sele è una delle massime esportatrici in Europa delle insalatine in busta e nello specifico della rucola. Cfr. Avallone, 2017AVALLONE, Gennaro. Sfruttamento e resistenze: migrazioni e agricoltura in Europa, Italia, Piana del Sele. Verona: Ombre corte, 2017..
  • 9
    Campolongo era lo spazio degli ultimi tonsi, gli spazi adibiti al pascolo della bufala, dove ancora c’erano modalità di allevamento e forme di asservimento di tipo para feudale.
  • 10
    Sul fallimento dei progetti turistici della Piana del Sele cfr. Avallone, Grimaldi, Bartoli, 2021aAVALLONE, Gennaro; GRIMALDI, Giuseppe; BARTOLI, Andrea. Campania: dal sistema di accoglienza allo sfruttamento nei campi. In: IPPOLITO, Ilaria; PERROTTA, Domenico Claudio; RAEYMAEKERS, Timothy (eds.). Braccia rubate dall'agricoltura. Pratiche di sfruttamento del lavoro migrante. Torino: Edizioni SEB27, p. 155-169, 2021a..
  • 11
    Da decenni ci sono comitati ambientalisti e cittadini che hanno tentato di intervenire sull’abusivismo chiedendo l’abbattimento delle villette (cfr. https://www.repubblica.it/online/fatti/abusivis/abusivis/abusivis.html).
  • 12
    Tra i fenomeni che hanno portato ad un aumento delle presenze a Campolongo nel corso degli anni si devono considerare questioni di natura tanto globale come l’aumento degli sbarchi lungo la rotta Mediterranea e l’espulsione di una fetta cospicua di richiedenti asilo dal sistema d’accoglienza (cfr. Avallone, Grimaldi, Bartoli, 2021aAVALLONE, Gennaro; GRIMALDI, Giuseppe; BARTOLI, Andrea. Campania: dal sistema di accoglienza allo sfruttamento nei campi. In: IPPOLITO, Ilaria; PERROTTA, Domenico Claudio; RAEYMAEKERS, Timothy (eds.). Braccia rubate dall'agricoltura. Pratiche di sfruttamento del lavoro migrante. Torino: Edizioni SEB27, p. 155-169, 2021a.; 2021bAVALLONE, Gennaro; GRIMALDI, Giuseppe; BARTOLI, Andrea. Circolazioni odierne. La mobilità dei lavoratori stranieri nelle campagne Italiane. In: COLUCCI, Michele; GALLO, Stefano; NANNI, Michele (eds.). Passato e presente delle migrazioni bracciantili. Sette città, 2021b, p. 58-66.) quanto locale, come ad esempio gli sgomberi di zone occupate dai braccianti senza un piano di reinsediamento come è successo nel 2008 con lo sgombro dell’area di San Nicola Varco (cfr. www.meltingpot.org Storia minima dello sgombero di San Nicola Varco)
  • 13
    Sulla dimensione dell’attesa nella dinamica migratoria del ghetto agricolo cfr. Roman et al., 2021ROMAN, Emanuela et al. Figurations of Displacement in southern Europe: Empirical findings and reflections on protracted displacement and translocal networks of forced migrants in Greece and Italy. TRAFIG working paper 9. Bonn: BICC, 2021..
  • 14
    L’articolo 103 del cosiddetto “d.l. rilancio” del 19.05.2020 ha previsto l’ “emersione dei rapporti di lavoro” per i soggetti migranti con la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno lavorativo. Dopo oltre un anno e mezzo dalla apertura della sanatoria i risultati sono disastrosi. Per un’analisi: cfr. Altraeconomia. Il fallimento della sanatoria 2020 confermato da dati inediti sul settore domestico.
  • 15
    I centri di assistenza fiscale (CAF) sono organizzazioni ai quali i datori di lavoro e i lavoratori si rivolgono per ottenere assistenza fiscale.
  • 16
    Diario di campo, 23.06.2021.
  • 17
    Ai tempi della ricerca nell’estate 2021 buona parte dei soggetti in sanatoria non aveva ancora ricevuto responso dalla prefettura sullo stato delle loro domande; domande inoltrate nell’agosto 2020.
  • 18
    Queste due tipologie contrattuali (colf e badanti e contratto agricolo) hanno costituito le uniche possibili al fine di inoltrare la richiesta di regolarizzazione.
  • 19
    Diario di campo 07.07.2021.
  • 20
    Diario di campo, 18.07.2021.
  • 21
    Diario di campo, 03.08.2021.
  • 22
    Sulla retorica ambivalente rispetto ai caporali tra i braccianti nella Piana del Sele cfr. Botte, 2009BOTTE, Anselmo. Mannaggia la miseria: storie di braccianti stranieri e caporali nella piana del Sele. Roma: Ediesse , 2009..
  • 23
    Diario di campo. 27.08.2021.

Publication Dates

  • Publication in this collection
    11 May 2022
  • Date of issue
    Jan-Apr 2022

History

  • Received
    15 Jan 2022
  • Accepted
    08 Mar 2022
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